ATTO  131

 

In qualche mattina persa nel tempo senza tempo.
Sono la terra arsa. Le cento mille sfumature del blu.
Sono impazzita di paura nella tempesta. Ho cotto la pelle al sole. Pelle marrone salmastra. Sono semi di timo che profuma sotto i sassi. Mirto e rosmarino .
Ho annusato il mare dentro le mie pieghe. Sono pietra e legno secco, attorcigliato dai venti salati.
Ho distrutto i muscoli a portare pesi. Ho fondato città mentre i cavalli mi morivano accanto, ho maledetto la cecità di occhi bruciati. Ho brandito vittorie prodigiose, silenzi miracolati in mezzo alle urla.
Ho ammorbidito il cuore sciogliendo miele in un abbraccio di corpi d’amore. Ho accarezzato capelli. Ho cucinato animali . Ho sgranato frutta sulla mia bocca avida.
Ho cantato al fuoco morbido della contentezza condivisa. Sono stata ninfa di voce morbida. Una eccentrica con i pesci in bocca. Una ragazza che correva nei rovi. Sono stata i gesti speziati che hanno nutrito la sorellanza.
Ho seppellito figli. Ho partorito alberi. Ho pregato guardando le vele, desiderio e abbraccio dell’uomo che mi ha scelto. Sono sangue di mare. Sono donna dei coralli. Sirena delle navi. Contorno rosso delle coste che escono dagli orizzonti. Lenzuola di vento nelle gambe vive, profumo di sonni stellati.
Ho parlato lingue che mi hanno fatto innamorare l’anima, risvegliando vite di passaggi lontani.
Ho perso il senno sopra navi in traversate interminabili. Mani indurite dalle spade ma dita lunghe per affilare dolcezze. Orrende cicatrici suppurate dal mare. Capelli marini che ondeggiano i fondali.

Sento tutte le donne che sono stata, camminarmi ai fianchi. Le amo tutte,  anche quelle defraudate, le rinnegate, le abbandonate, le disperate, le atterrite, le vittime, le condannate.
E poi amo le trionfanti, le solitarie, le danzanti, le coraggiose, le infiammate, le delicate, le sagge, le naviganti sulle onde del tempo .

E sopra, lassù in alto, una donna grande come la madre del cielo mi chiamava da una cupola, allontanandosi per farmi fare il passo più forte, vieni qui, vieni da te, che sono io. Più adulta di tutte le dee. Più divina di tutte le sue lunghe braccia invisibili . Mi tirava fili che non ho mai visto. Voleva farmi diventare ciò che ero già.

La donna che ha chiamato il miracolo, baia turchese spuntata dal deserto.

Ho aperto le mie gambe ai tramonti anche se la notte era fredda il sudore mi scorreva lungo la schiena. E ho lasciato al cielo viola ricompormi i pezzi sfrenati di tutte le incomprensioni.
E ho amato chi mi è passato accanto sussurrandomi segreti che l’anima era pronta ad ascoltare. Mentre la disgrazia di vederli nella luce scuriva la loro umanità, l’unica possibile.

Ho pregato e aspettato scalciando nelle vele, aromi di uomo e di donna, ferro vino e cavalli cucina fumo profumi .

E poi sono cresciuta. Mi sono abbracciata i fianchi. Ho preferito perdere le mezze parole, che sfilacciarle a marcire nei denti , nelle miserie umane della confusione. Ero fatta per l’acqua. Non per i giuramenti. Per le emozioni, non le strategie.

Una polena mi parla nella notte marina:
“Se puoi sentire il tuo cuore sentirai il cuore di tutti gli altri E ti sorprenderai nel vedere che sono come il tuo. Se puoi ascoltare il tuo silenzio potrai tradurre quello degli altri e percepire quel non detto, che tanto dice. Se puoi parlare dalla tua pancia allora comprenderai qualunque linguaggio. Sentirai quante storie sono custodite nei meandri di te, di noi e di tutti. Se ti alleni a fare tutto questo con te ogni porta sarà aperta inizierai a incontrare Anime non più persone. E ti sorprenderai di come la vita sia così diversa cambiando sguardo verso di te.”

Lascio asciugare il canto sulle assi bollenti del veliero che mi attraversa il petto.

L’amore è la polvere dorata che rimane.