ATTO 47

 

La porta si è aperta e la donna è entrata nello Spazio Bianco.

Morire dev’essere un movimento così, un enorme brulicare e alla fine un moto ondoso che ti spinge, risolutivo.

Nello Spazio Bianco i piedi sono pesanti ma senza stanchezza. Non esiste più la fame, sparita completamente. Niente da spiegare solo muoversi dentro l’aria.  Nessuna pacca sulla spalla solo sentire che il vasto spazio è abitato.

La donna si guarda la pancia come dopo aver partorito, una tasca svuotata e piena di petali.  Lo Spazio Bianco ora è imminente, spalancato, senza più solo spiragli o tempeste.

Non sa cosa è finito nè cosa inizia, ora. Eppure non necessita nemmeno di una spiegazione, tutte le funzioni terapeutiche sono al momento, sospese.

Lo Spazio Bianco è la forza di gravità di ogni mansione cerebrale srotolata a terra all’altezza dei sassi e delle ruote. Chi vive lo Spazio Bianco sta all’altezza dei marciapiedi eppure sovrasta i capogiri del rumore.

La donna cammina sul crinale dello Spazio Bianco, che poi è tutto una grande porta. Qualcosa di invisibile le avvolge le mani e non sono domande, nè risposte.

Lo Spazio Bianco non toglie e non dispone niente, è una zona liminale che la donna può attraversare o al minimo, intessere, o al massimo, compiere.  Da qualche parte ci sono delle città. Dei ricordi. Degli odori di resina.

Ora che si è aperto, lo Spazio Bianco è il nuovo ausiliare del tempo.