ATTO 18
Ci sono giornate che si spaccano come un frutto maturo e tutto viene fuori in un istante, giornate che escono fuori dalla porta principale.
Ultimo giorno di scuola di una maestra, ultimo giorno di scuola di un figlio, ultimo giorno di scuola di una madre.
Tutto viene fuori senza la buccia e sei lì che devi tenere insieme tutto, e la buccia sei tu.
Sei lì all’uscita con il cannone di coriandoli in mezzo alle altre madri che li andiamo a prendere il loro ultimo giorno della quinta. Escono con le magliette bianche dipinte di nomi dentro i cuori rossi e sono belli, ariosi e straniti come se guardassero la vita lì spalancata senza porte davanti a loro.
E mezz’ora prima, sei o sette stradine indietro, avevo salutato le ventiquattro facce di alunni, stranita come se guardassi la vita lì spalancata senza porte davanti a me. Bianca che è tornata al cancello due volte come per dirmi qualcosa, e Marta silenziosa abbracciandomi “Vengo via con te”. In un istante il frutto si rompe e vedo i minuti ormai perduti in cui avrei dovuto dare attenzione e fermarmi e non l’ho fatto e la buccia sono io e ormai è andata così. Devo schizzare da mio figlio e il frutto è sciolto asprissimo dolce sotto l’asfalto maturo, sei o sette stradine più avanti.
Nemmeno mi saluta la testa piena di coriandoli: mammaaa cosaaa faiiii piangiiiii?
E come faccio a spiegargli del frutto maturo e a lui che non era tenuto ad essere tanto bello eppure lo è, e che nulla era tenuto ad andare bene eppure è andato, e che ho quindi molti motivi per sperare sempre?