ATTO 22
Accendersi è una cosa che accade, come una visione, una malattia, un’intuizione fulminea, un incidente, un evento che si piazza nel mezzo di un pomeriggio, fa liquefare ogni programmazione, mentre eravamo occupati a fare qualcos’altro.
Si viene accesi, non si può farlo da soli. Dopo si impara ad autoaccendersi, ma bisogna sempre sapere di confidare in quel qualcosa da cui tutto è partito.
A quindici anni mentre tornavo a casa a piedi dalla stazione di Lambrate una sera di fine inverno, sono rimasta pietrificata davanti al blu cobalto del cielo, in un istante ho saputo tutto quello che c’è da sapere, in poche parole: mi sono accesa.
A un concerto pochi mesi dopo, hanno iniziato a soffiare del fumo da sotto il palco e io mentre annusavo quell’odore chimico e la musica mi tirava su la schiena, mi sono accesa di nuovo. Improvvisamente ero sbalzata nella vita. Diventavo padrona della mia testa e mi mettevo ad apparecchiare la tavola cacciando fuori tutti gli sconosciuti. Sostanzialmente iniziavo a sognare forte e furiosamente, non facendo altro che realizzare la perfetta fisiologia di ogni adolescente.
L’adolescenza e’ stata tutto un susseguirsi di accensioni ecco perché mi arrabbio quando sento dire che gli adolescenti sono spenti e cretini, gli adulti che gli stanno intorno hanno perso la memoria e sono loro ad essersi spenti poverini.
Mia madre mi è stata molto utile in questa osservazione silenziosa perché attraverso di lei ho conosciuto il meccanismo meraviglioso della patologica distanza tra accensione e spegnimento: lei ha rasentato i punti massimi dei poli e pertanto mi ha insegnato a vederli benissimo e di questo le sono parecchio grata in effetti.
Gli anni ci insegnano ad accenderci. Gli amori, il tempo, le lacrime, i nutrimenti e i godimenti indicibili, la bellezza.
Ma soprattutto impariamo ad accenderci quando la smettiamo di espiare, e cominciamo ad essere curiosi sul meccanismo di funzionamento di questa cosa in cui sono finito dentro che è la vita.