Fiori bianchi – 1994/1996
Spirali
Io sono la mia vita interiore
il plasma rubino della mia figura,
oh colomba che canti sulla mia fronte azzurra
fa’ che questa cupola ancora non sia lesa,
è solo aria che sta sopra il mondo
così aperta e così contesa.
Sono come te, ristagno d’amore,
salgo in spirali avorio verso la caduta:
sono una stella che quel che tace non rifiuta.
Promessa
Conoscerai
il vento sotto le nuvole,
quel punto, piccolo, dove nasce la pioggia…
Conoscerai
il giorno e il suo nome
la sua spessa trama, il suo carro di luce
e saprai che l’arancio è nato sotto le castagne
e la tristezza
è il punto interno del colore…
conoscerai il canto del mare
dentro la città
e vedrai le onde di quella pace salire
dentro la chiesa d’oro del tuo nome.
Preghiera
Scrittura mia dea, mia paura
mio recesso divaricato
immaginato girone dei cibi, dei vivi,
che tu prenda questa figlia tua
questa nata nella meraviglia
che pure troppo chiede,
tu, suggeritrice di bene,
prendi l’agnello di timore che io sono
come in una preghiera succede col perdono.
Crescere
Dentro il mio confine
di poesia e paura
c’era un corpo che disperava del corpo,
della terra.
Con veleni dolci e oscuri
un nuovo orgoglio mi insegnò il mio io
poi sapendo di morire
cominciai a vivere
superando me stessa,
scavalcando la mia ultima sagoma
di orizzonte malato.
Creazione
Cos’è questo parto feroce,
questa incandescente materia di parole,
questo delirio di venti assoluti
che scuotono i fianchi della mia laguna?
Credevo d’essere lieve come un giglio
ma tu ora mi hai imprigionato in una rete
cristallina che germina in fiotti a me oscuri.
Diciott’anni
Cammino.
La parola divenire
fluttua nella mente,
foglia che continua a dondolare,
e umana materia di carne.
E’ questo il mio significato
aperto, scoperto,
tronco mutilato
ma vivo,
di giovani radici.
Divenire,
parola che mi dondola,
mi spiega,
mi chiude,
corolla che si abbassa,
ancora una volta,
a sopravvivermi.
Dubbi
C’è questa solitudine
voluta,
disperante,
mi matura il mondo
ed io ho paura
di tutto il mio potere.
Io avevo un uomo
che mi amava.
Ma ho preferito
essere oltraggiosa,
violare a forza
ogni certezza,
ogni quieta amorosa
comprensione.
E se domani
mi svegliassi
piena d’artigli,
da me stessa squartata,
vuota come lo scheletro
d’un frutto perduto?
Assedio
Il tuo,
il mio assedio,
al tempo regolare,
alla città ormai capovolta,
ai marciapiedi che più non tengono,
che andare è questo, mia dissoluzione,
non abbiamo tempo per mangiare,
sentiamo solo l’urto dei fiori
e la stretta di radici che ci tiene le gambe,
chi lo immaginava che era il delirio
la ragione della primavera.
Sogno d’inverno
Del lungo vagare tremolante
mi rimase come una visione
la Gran Coppa che negarono
in sogno alle mie labbra.
Fu come aver veduto la Gran Stella d’Israele
sopra il lino bianco di un altare.
“Tu- mi dissero grandi mani accalorate
sei enorme come una donna nera
e andrai cercando dove si vendono le piume
i semi siderali del tuo Dio”.
Era certo una frase di mistero
per il mio acerbo, molto assetato umore
eppure s’era acceso il sortilegio
a divaricarmi il cuore.
Mi girai come d’assalto
nell’intreccio delle ali ancora accese
a me quell’oro caldo non lo fecero mai bere.
Perché non posso assolvermi alla quiete universale
se ogni religione tiene un agnello in pugno?
Così finiva il sogno,
non se se vidi davvero un cartellino
con la scritta “uscita”, avevo perduto,
e ancora il Graal lo sento picchiare di notte
dentro le mie dita.
Lamento in morte di Fabrizio De Andrè
Lenta era la porta che s’apriva
alto punto dentro il grigio.
Vedesti le lenzuola aprirsi come gigli
scendere a grappoli i gradini della scala,
indorata o azzurra non potevi dire
che la luce sulla soglia
adesso era una voglia che ti faceva piangere .
E vedevi per terra i tuoi pensieri verticali
rattrappirsi come capelli d’erba.
Qualcuno sciolse le stringhe della carne
come un cappotto dalla primavera,
e salivi dentro un’onda che tuonava
così leggera da farti sentire stanco,
cielo di tutto il nero che diventa bianco.
Dunque ti disse il Dio che non vedevi:
“Hai bevuto l’alcool della verità
che le parole degli umani credono fecondo
ed io lo strano crisma che decisi di impastare al mondo”.
Per un attimo ti prese un dolce smarrimento
come in altro tempo procurava il sibilo
del vento tra gli ulivi: avevi capito che solo ciò che ci uccide
può farci sentire vivi..
Procedendo nella fila ti chiamavano a danzare
e non avevi voglia di fuggire,
le braccia dei soldati, gli occhi trasmutati dei perdenti,
si spaccava dentro l’infinito ma più non era musica
quella che sentivi: la poderosa nenia felice che i morti
cantano ai vivi.
Attesa
Se lui vedesse scendere,in una notte gelida,
la luna come una bolla di carta leggerissima
aprirebbe la porta?
Saprebbe riconoscere il mio nome sotto la terra
nel bulbo di una rosa da giardino?
E se poi, camminando in mezzo alle foglie,
sentisse battere come mille aghi sotto i piedi la primavera
spalancherebbe le finestre?
E chiudendo gli occhi, mentre una pelle di vento
gli passa sopra il viso
capirebbe il rumore delle navi sopra il mare?
Canzone
Ogni donna ha carezze
taciute come impronte sulle schiene delle mani.
Ognuna la sera posando le guance
ha addormentato il suo respiro.
E nel buio, ha incontrato la bambina
con le dita dorate
e ha rincorso parole divenute farfalle
e farfalle divenute respiri,
i respiri di tutti gli uomini che alle parole
affidano senza sapere i loro destini.
Anche io sai sento cantare le mie dita
(amore che sgorgherà da me come sonno ultramarino)
e preparo intanto i fogli su cui Dio posa le ali
e adoro segretamente in controluce
la perfezione delle sue impronte.
Anche io taccio qualcosa che non so dire
e inondo quella bambina di calma che non conosco
e tramo con le sue dita le maglie della mia attesa,
ferma sotto la luna come una notte nuziale.