Lamento in morte di Fabrizio De Andrè
Lenta era la porta che s’apriva
alto punto dentro il grigio.
Vedesti le lenzuola aprirsi come gigli
scendere a grappoli i gradini della scala,
indorata o azzurra non potevi dire
che la luce sulla soglia
adesso era una voglia che ti faceva piangere .
E vedevi per terra i tuoi pensieri verticali
rattrappirsi come capelli d’erba.
Qualcuno sciolse le stringhe della carne
come un cappotto dalla primavera,
e salivi dentro un’onda che tuonava
così leggera da farti sentire stanco,
cielo di tutto il nero che diventa bianco.
Dunque ti disse il Dio che non vedevi:
“Hai bevuto l’alcool della verità
che le parole degli umani credono fecondo
ed io lo strano crisma che decisi di impastare al mondo”.
Per un attimo ti prese un dolce smarrimento
come in altro tempo procurava il sibilo
del vento tra gli ulivi: avevi capito che solo ciò che ci uccide
può farci sentire vivi..
Procedendo nella fila ti chiamavano a danzare
e non avevi voglia di fuggire,
le braccia dei soldati, gli occhi trasmutati dei perdenti,
si spaccava dentro l’infinito ma più non era musica
quella che sentivi: la poderosa nenia felice che i morti
cantano ai vivi.