ATTO 94
La tua voce bianca, qualcuno ti ha scucito un progetto e lentamente mi racconti, senza affanno e percorrendo calmo la strada, senza cedere al vento.
Porto giù il cane.
Vado a dormire.
Il tuo essere al posto, sempre, il puntino che si avvicina, all’arrivo delle navi. Uno sguardo, due frasi e nessuna consunta dal gocciolare delle mie corse.
A te le parole non servono, non ti fanno una dimora, basta la pelle a fare la casa, in cui le nostre ossa entrano alla sera, la pace è trasparente ancora viva. Ci prende i corpi e li sbircia, li addormenta.
Buonanotte.
A che ora esci domani?
Io vado e torno dall’esistere, smonto i pezzi di me, rovisto continuamente i fondali e mi scheggio a salire tanto in alto, precipito dal mio coraggio. Lo ami quel coraggio. E non lo sai.
Puoi dirmi qualcosa? Di dolce?
Mi mandi le foto delle multe. Di mobili smontati. Pagamenti che mancano. I doveri degli adulti.
Basta farti male da sola, ti serve a qualcosa? La finisci con questi meccanismi?
Lavori, pulisci le cose, ordini il tuo mondo. Fai qualcosa per me senza saperlo dire. Intuisco un lavorìo leggero, instancabile, una formica che ha raggiunto le sue soglie. Non è interessata ad andare oltre. Fa ciò che può e che deve, in un silenzio fiammante. Cerco di sopportare la tua stanchezza. Quella dura, quella del dovere compiuto. Il tuo universo concreto, l’unico che ti ha e ti scuce il fare: legno del movimento che ti rinforza.
Io sbuco sempre al di là di me, ma la cosa non ti riguarda. Eppure tocchi e ti espandi, allo spazio che ti consegno festeggiando le terre e affondando bandiere.
Io foro continuamente la tua pazienza, strappo i veli, appendo la primavera sui tuoi muri. Spezzo chiodi. Faccio rumore. Voglio gioia. Sai ridere? Forse no. Ma i fiori sono indenni alla fatica, ci guardano comunque.
Devi chiudere le tue ferite, e basta. Si, hai ragione. Lavoro solo per quello, in fondo.
E sulla strada, vado a a squarciare il mio miracolo, tirarlo giù dalla montagna e farlo allagare i ponti. Molti non li vedi nemmeno.
Siamo ancora vivi? Cotti e crudi, le nostre piume che si posano sui macigni. Le nostre storie. Di prima, quando non c’eravamo l’uno per l’altro. Un sangue denso, l’opera grande di una luce che scorre sotto, cedevole e ferma.
Vorrei stringerti, dormire sul tuo collo. Lì dove poso le mie pietre azzurre, alla fine del giorno. I giorni del tutto e i giorni del niente.
Rispondi solo che manca poco. Altro non dici.
Sei restato, agli anni feroci la tua precisione impassibile. Ai gorghi variopinti del colore il tuo corpo magro insondabile.
Buonanotte.
Cosa hai mangiato?
Un uovo.
Mi hai dato un amore lungo e durevole e ho allacciato a questo filo severo il mondo sconosciuto dei millimetri.
Quando arrivi?
Il 6 agosto.
Ti aspetto sulla terra, tra le fiamme.