ATTO 76

Non c’è nessuna cosa da scrivere, solo una cosa da fare: stare.
Leggere non solo per piacere, immetterci anche un po’ di dovere.
Tenere l’idea seduta al tavolo e starci lì seduti, scrutarsi e forse anche annoiarsi.
Fino ad amare la fatica del guardarsi. Fare il farsi. Fare il disfarsi.
Si scrive perché è così, si scrive perché si.
Un giorno si legge (per gradire), un giorno si scrive (per guarire), poi si legge (per abbuffarsi) poi si scrive (per ammalarsi).
Poi si scrive e poi si scrive e poi si legge.
Il fare è l’unica cosa da fare.
Il fare è difficile. Il fare è vuoto, non è pieno come il pensare.
Il fare non sa sempre tutto, anzi è fatto di caso e di caos. Il fare è l’unico antidoto al resistere.
Il fare è la fiducia del disordine.
Il fare è medicina di una qualche malattia, la malattia del vuoto non sono capace.
Del non so assolutamente cosa fare. Cercherò di non scappare.
Non scriverò nessun romanzo cosciente. Farò un qualcosina del qualcosa dello scrivere incosciente.
Il fare è studiare la coscienza dell’incosciente.
Faccio ora un qualcosa del qualcosa dello scrivere. Non servirà a niente.
Devo farlo lo stesso. Così facendo saprò che si può fare. Non si può fare, ma si fa. Tutto si può fare, ma io col tutto ci ho poco a che fare.
Non so assolutamente cosa scrivere.
Scrivi, anzi fai lo scrivere, fai il fare dello scrivere.