ATTO 66
Voi giorni di febbraio giugno o novembre
voi cinque del mattino o tre del pomeriggio,
voi, mentre lei indossava una maglietta abbinata ai pantaloni
o forse gli orecchini d’argento che amava da pazzi
e le unghie quasi sicuramente senza smalto,
quando si rigirava nel letto e si alzava a prendere un bicchier d’acqua,
voi, quando aveva le mani gelate e se le infilava in tasca,
voi che vi siete aperte davanti a lei
e non vi vedeva da nessuna parte,
voi, mentre camminava per la strada
a Città Studi,
che correva dietro un autobus,
che guardava la pioggia sul cemento nero di un davanzale
che schiacciava il tasto di qualcosa che faceva partire una musica,
che apriva il giornale nelle pagine finali del corriere milano,
che sollevava gli occhi verso sera
e sentiva un’aria strana dentro il naso,
voi, nei minuti corti in cui apriva l’armadio
e stava ferma a guardare che vestito mettersi,
voi che la guardavate aprire libri,
riempire zaini,
girare chiavi in una serratura,
confidarsi a voce bassa,
prendersi la testa tra le mani,
attaccare bottone con uno sconosciuto a un semaforo,
voi che le facevate sollevare la cornetta quando ancora c’erano le cornette,
e lei stava a schiacciare sminuzzare lievitare parole,
voi che la sentivate toccare braccia
sciogliere capelli,
e uscire decisa perchè doveva fare qualcosa
e poi tornare a piedi che non l’aveva fatto,
mentre la guardavate slabbrata a perdere tempo
dentro i sacchi azzurri e poi viola dei suoi pensieri:
dovevate suonare le campane dei palazzi
stringere un nodo alla cortina del sole
buttarle acqua sulla della testa
e dirle che stava solo entrando e uscendo da una porta,
passando tra un destino e una fortuna
tra un finale per sempre e un mai eterno,
che ogni gesto che avrebbe fatto grande o piccolo
lo avrebbe appuntato all’arabesco gigante del suo tempo
legato alla cintura come una gonna
che trascinava lunghissima sopra le gambe,
per passare da una porta scorrevole
ed entrare in un anello di ferro
a cerchio lucente,
di eventi e delle loro catene impossibili a occhio nudo
cosicchè lei potesse scoprire nella sua folle nudità
che ogni passo era tracciato
a solco del suo vagare senza meta,
e voi grandi porte scorrevoli
che l’avete trascinata frantumata e composta e risorta e sciacquata
per amori spari parole fantasmi e creazioni,
che occupate l’universo lento degli uomini
dei naviganti e passeggianti,
avvisateli quando passeranno di lì
che la loro scelta è il vostro farli passare
e a seconda dello sbattervi o chiudervi o tralasciarvi
si incontreranno o si perderanno,
o semplicemente tracceranno rotte oracolari
del loro mobile sé narrante.