ATTO  118

Tra qualche ora verrai portato via dal mio corpo attraverso le mani dei chirurghi e i loro strumenti precisi, le loro prassi rigide, i loro gesti esperti. La grande macchina medica aprirà le sue fauci per accogliermi insieme alle altre pazienti della giornata, mi verrà assegnato un letto, disferò la valigia e in pochi minuti sarò sdraiata su un lettino con l’infusione anestetica nelle vene e andrò in un limbo parallelo dove la mia coscienza, uscita dalle sue maglie, aspetterà sulla soglia invisibile dove dormono le stelle.
Ma un ospite così inatteso meritava anche un altro tipo di attenzione e cosi, dopo quattro settimane sono tornata sulle colline e gli ho mostrato la mattina piena di luce e i campi umidi su cui corrono i caprioli saltando in mezzo ai rami che l’inverno ha spezzato.
Volevo annusasse l’aria della primavera nascosta sotto il vento freddo.
Volevo mostrargli le gemme chiuse, timidissime sui rami nudi: la loro sostanza fragile, fortissima. Volevo sentisse il rumore scrosciante del fiume, gonfio di neve ormai sciolta.
Volevo fargli vedere i ciliegi su cui a maggio coglierò dei frutti che lui non potrà vedere.
Volevo fargli vedere la vita a cui mi ha consegnato e le leggi di una natura che era perfetta in sintonia con il suo freddo spietato, e attraversandolo siamo arrivati a questo giorno di addio, a questa domenica di luce, a questa promessa di primavera, a questa tappa del viaggio.
Grazie mio ospite inatteso per avermi sfogliato e scompigliato il sangue e avermi fatto camminare nel fitto dell’inaspettato.
Hai aperto il guscio e tolto le pelli al seme. Hai sgomberato e sedimentato. Hai fatto piangere il dolore e ridere la gioia, liberati dalla prigione.
Hai reso visibile ciò che si nascondeva.
Hai tolto le corde a chi non ci apparteneva più.
Hai mostrato i bambini agli adulti e gli adulti ai bambini, e li hai fatti danzare insieme.
Hai mozzato la testa agli alberi perchè potessero sentire quanto amore li abbracciava in quella nudità di notti gelide.
Hai insegnato la tenera gioia che tiene vivo il cuore, pulsante con le viscere della terra.
Mi hai sussurrato che non c’è speranza migliore di una buona decisione.
Che enorme lavoro.

Grazie